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Fulvio Di Blasi*

QdB 1/2023

Il 6 febbraio 2023, Michael G. Lawler e Todd A. Salzman hanno pubblicato un articolo sul National Catholic Reporter intitolato “Conservative defense of Humanae Vitae is not just about contraception” (L&T). Gli autori si sono soffermati sul dibattito generato da un recente convegno internazionale organizzato in risposta ad alcune affermazioni controverse sulla morale sessuale contenute in un volume edito dalla Pontificia Accademia per la Vita. Essi riportano alcune mie affermazioni fuori contesto e senza mai entrare nel merito delle argomentazioni. Così, quando si chiedono perché persone come me difendono Humanae Vitae (HV) lo fanno esclusivamente dal punto di vista di chi, come loro, intende criticarla. Questo è già un errore metodologico.

Un altro errore è quello di dare l’impressione, come fanno durante tutta la loro discussione, che la difesa di un’enciclica come HV sia una questione di faziosità. Le encicliche, però, non sono come atti legislativi che un partito politico, dopo un’elezione vittoriosa, può semplicemente ribaltare. Non è questa la via della Chiesa. Il dibattito su come difendere al meglio la verità rivelata non può ridursi a una disputa tra opposte fazioni, etichettando chi difende un certo insegnamento magisteriale come “tradizionalista”, “conservatore”, “legalista” e simili. Questo atteggiamento pervade l’intero articolo di Lawler e Salzman, conferendogli un tono negativo e non ecclesiale. Da parte mia, non mi etichetterei mai in questi modi, e ritengo che il mio pensiero sia incentrato sul vero significato dell’amore cristiano.

Le commissioni consultive di Paolo VI e il Magistero ordinario e universale

L’articolo di Lawler e Salzman contiene diversi errori che rivelano questo modo di condurre il dibattito in modo fazioso, senza un rispetto sincero per gli altri, Papi compresi.

Per esempio, essi usano il lavoro della commissione istituita da Papa Giovanni XXIII per sostenere l’idea che l’insegnamento di HV non sia in linea con il Magistero ordinario e universale e quindi non sia irriformabile. Riducono, infatti, il senso dell’enciclica a una mera attività di approvazione o certificazione dei lavori della commissione, o di scelta tra quelle che chiamano relazioni di maggioranza o di minoranza, come se quella commissione dovesse essere una sorta di voce ufficiale della Chiesa o come se avesse una sorta di significato teologico proprio come espressione del Magistero ordinario e universale. Ecco come si esprimono loro stessi in proposito:

«Anche nove vescovi votarono in accordo con il rapporto di maggioranza della commissione […] Dati i voti dei vescovi della commissione, è un incredibile sforzo di immaginazione e disonora le coscienze dei vescovi affermare che il magistero ordinario universale dichiara questo insegnamento irriformabile […] Paolo VI […] approvò nella sua lettera enciclica Humanae vitae il rapporto di minoranza» (L&T).

Questo modo di argomentare e di parlare, oltre che errato, è altamente irrispettoso nei confronti di Paolo VI, il quale proprio nell’enciclica dichiarò di dover mettere da parte i lavori di quella mera commissione consultiva

«soprattutto perché erano emersi alcuni criteri di soluzioni, che si distaccavano dalla dottrina morale sul matrimonio proposta con costante fermezza dal magistero della chiesa» (HV, 6).

È lo stesso Paolo VI a dichiarare che il parere della commissione non era in linea con il magistero ordinario e universale. Per usare il linguaggio di Lawler e Salzman (e un giusto principio di uguaglianza), non stanno loro stessi facendo «un incredibile sforzo di immaginazione» e disonorando la coscienza di Paolo VI? Chi è voce migliore del Magistero ordinario e universale, il parere di nove vescovi in una commissione consultiva o la dichiarazione ufficiale di Paolo VI in HV? Chi merita più deferenza nella Chiesa da parte di fedeli leali?

Modello procreativo contro Nuovo modello di unione interpersonale?

Un altro esempio di approccio fazioso è l’opposizione fittizia tra due presunti modelli di matrimonio, quello brutto (procreativo) scelto da Paolo VI, e quello nuovo e bello fondato sull’unione interpersonale, sul «senso totale del matrimonio e del rapporto sessuale all’interno del rapporto matrimoniale» (L&T).

Non conosco nessun autore serio che interpreti il matrimonio al di fuori di un contesto di profondo amore per Dio e per la persona umana. Certamente non lo fece Paolo VI, che inizia la sua spiegazione dal «disegno di amore» di Dio e dall’«amore coniugale».

«L’amore coniugale rivela massimamente la sua vera natura e nobiltà quando è considerato nella sua sorgente suprema, Dio, che è “Amore” […] Per mezzo della reciproca donazione personale, loro propria ed esclusiva, gli sposi tendono alla comunione delle loro persone, con la quale si perfezionano a vicenda, per collaborare con Dio alla generazione e alla educazione di nuove vite […] È prima di tutto amore pienamente umano […] destinato non solo a mantenersi, ma anche ad accrescersi mediante le gioie e i dolori della vita quotidiana; così che gli sposi diventino un cuor solo e un’anima sola, e raggiungano insieme la loro perfezione umana. È poi amore totale, vale a dire una forma tutta speciale di amicizia personale, in cui gli sposi generosamente condividono ogni cosa, senza indebite riserve o calcoli egoistici» (HV 8-9).

L’onestà intellettuale e il dovuto rispetto per la Chiesa devono portare a rappresentare correttamente le opinioni e gli atteggiamenti morali degli altri. Ogni volta che il dibattito sulla contraccezione, o in generale sulla morale sessuale, viene presentato come una disputa tra legalisti, da un lato, e amanti dell’amore, dall’altro, c’è qualcosa che non va. Chi pensa che esistano verità morali che vanno sempre rispettate, limiti che non vanno oltrepassati, è generalmente una persona che ama veramente (Dio, la verità, gli altri esseri umani). È legalista una madre che rifiuta l’aborto a costo della vita? È legalista un santo disposto al martirio?

Nella vita coniugale ci si astiene dal sesso per tanti motivi, perché l’altro non sta bene, perché non riusciamo a isolarci dai figli (come nei recenti lockdown), perché ci sono troppe cose urgenti e importanti da fare o a cui pensare, ecc. In un matrimonio felice, queste astensioni generano amore. Quando l’astensione crea problemi coniugali in genere significa che il sesso è vissuto in modo egoistico, come ricerca di sé piuttosto che come dono all’altro. Non ricordo un solo caso in cui la nostra astensione non sia diventata motivo di allegre risate, e non riesco a immaginare il contrario in un matrimonio d’amore. Onestamente, anche se a volte ci sono motivi validi per ritardare le gravidanze, non ne ho mai neppure discusso con mia moglie. Mi chiedo se il legittimo dibattito sulla pianificazione familiare naturale non sia oggi viziato da un mondo che non ama più Dio e i bambini. Proprio come oggi la pervasività del divorzio rovina per molti la purezza del matrimonio, così la mentalità contraccettiva rovina l’approccio alla pianificazione familiare. È troppo facile oggi avere paura di un bambino ma il Vangelo ci dice di non aver paura. Per me e mia moglie, ci vorrebbe davvero un motivo apocalittico, per così dire, per mettere da parte, anche solo momentaneamente, la nostra passione di co-creare con Dio il mondo del futuro e di abbracciare un nuovo bambino (la cosa più bella che io possa immaginare). Noi non abbiamo mai paura, e questo smaschera ed elimina i falsi problemi e riaccende costantemente il nostro amore per Dio, per noi stessi e per i nostri figli.

L’intero dibattito sulla contraccezione è surreale per me, non per una sorta di legalismo, ma perché non capisco come a volte dover astenersi dal sesso possa essere un problema per coloro che amano davvero. Posso rispettare opinioni diverse e sono felice di discutere con chi ha opinioni opposte, ma non posso accettare di essere ritratto come uno che non mette l’amore al centro della sua vita e delle sue idee. Non posso accettare di ritrarre persone come Paolo VI o Giovanni Paolo II come Papi che non hanno capito l’amore. La procreazione non è contraria all’amore ma il sesso spesso lo è. C’è da chiedersi se non siano oggi l’eccessiva attenzione al sesso e il poco amore per i figli a danneggiare la corretta comprensione dell’amore coniugale.

Che fine ha fatto Veritatis Splendor?

In maniera piuttosto sorprendente, Lawler e Salzman neppure menzionano Veritatis Splendor. Eppure, si tratta di un’enciclica scritta da un Papa diverso da Paolo VI, interamente dedicata alla difesa della dottrina degli atti intrinsecamente cattivi, e che utilizza esplicitamente la contraccezione come primo esempio di atto intrinsecamente cattivo (VS 80). Di nuovo, qualunque sia la propria opinione, due encicliche di due Papi dovrebbero essere una testimonianza migliore del magistero ordinario e universale che l’opinione di nove vescovi in una commissione consultiva. Un approccio rispettoso alla Chiesa dovrebbe almeno riconoscere questo fatto.

Lawler e Salzman, per difendere la loro presunta visione non legalistica e di riformabilità di HV, si rifanno all’approccio pastorale di Amoris Laetitia. Tuttavia, HV e VS sono documenti dottrinali mentre AL è pastorale. Il criterio ermeneutico cattolico dovrebbe presupporre, in primo luogo, l’armonia tra i documenti papali e, in secondo luogo, interpretare la pastorale come affermazione della dottrina non come negazione di essa. Un metodo rispettoso dovrebbe anche riconoscere che VS stessa ci ha messo in guardia contro l’uso di approcci pastorali per negare la dottrina:

«[…] alcuni hanno proposto una sorta di duplice statuto della verità morale. Oltre al livello dottrinale e astratto, occorrerebbe riconoscere l’originalità di una certa considerazione esistenziale più concreta. Questa, tenendo conto delle circostanze e della situazione, potrebbe legittimamente fondare delle eccezioni alla regola generale e permettere così di compiere praticamente, con buona coscienza, ciò che è qualificato come intrinsecamente cattivo dalla legge morale. In tal modo si instaura in alcuni casi una separazione, o anche un’opposizione, tra la dottrina del precetto valido in generale e la norma della singola coscienza, che deciderebbe di fatto, in ultima istanza, del bene e del male. Su questa base si pretende di fondare la legittimità di soluzioni cosiddette «pastorali» contrarie agli insegnamenti del Magistero e di giustificare un’ermeneutica «creatrice», secondo la quale la coscienza morale non sarebbe affatto obbligata, in tutti i casi, da un precetto negativo particolare» (VS 56).

Viene in soccorso Tommaso d’Aquino?

Non dovrebbe anche Tommaso d’Aquino ricevere lo stesso onore e rispetto di quei nove vescovi? Lawler e Salzman, infatti, ricordano con entusiasmo un passo citato da AL in cui Tommaso d’Aquino afferma che la verità pratica, a differenza di quella teoretica, non è uguale per tutti e, più ci si avvicina all’azione concreta, più la verità è indeterminata (ST, I-II, q.94 a.4). Eppure, questa affermazione è ovvia per chiunque abbia studiato il concetto di scienza pratica in Aristotele e Tommaso d’Aquino: un concetto che non ha mai impedito a entrambi di affermare l’esistenza di atti intrinsecamente cattivi.

Anche qui, un corretto criterio interpretativo dovrebbe essere quello di non leggere Tommaso d’Aquino o Aristotele come se si fossero stupidamente contraddetti. La verità pratica racchiude tutta la ricchezza dell’agire umano. Per questo ci bastano le leggi per orientare l’azione, ma occorrono processi e sentenze per valutare e decidere i casi concreti. Tuttavia, i precetti negativi bloccano gli altri elementi del caso concreto. La questione è semplice. Non esiste una verità pratica universale su quale tipo di casa sia ideale per la mia famiglia ma esiste una verità pratica certa che qualunque casa io voglia per la mia famiglia non posso costruirla con il burro di arachidi. Ci sono cose che non si possono fare qualunque siano gli altri elementi del caso concreto. Per questo l’Aquinate ha spiegato che i precetti negativi obbligano “semper et ad semper”, in ogni caso specifico (Super Rom. 13, l. 2), che è lo stesso concetto usato da VS.

Aristotele e Tommaso d’Aquino affrontano la necessità di correggere l’universalità del diritto, di dispensarne l’applicazione, attraverso il concetto di epicheia (equità): la giustizia superiore del caso concreto. Ma la giustizia dell’epicheia dipende dalla comprensione della vera intenzione del legislatore, come quando violiamo una legge sul traffico per far passare un’ambulanza. Quindi, l’Aquinate chiarisce che i precetti del Decalogo «sono assolutamente indispensabili» perché «racchiudono l’intenzione stessa del legislatore, cioè di Dio» (ST, I-II, q. 100 a. 8). Comprendere appieno i concetti di scienza pratica, epicheia o intenzione del legislatore può essere difficile, ma confondere il funzionamento dei precetti positivi e negativi è un grave errore in teoria morale.

Magistero o Nuova Morale?

Per me, uno degli aspetti più sorprendenti dell’approccio prevenuto di Lawler e Salzman risiede nella contraddizione di presentarsi sia come difensori che come demolitori dell’insegnamento della Chiesa. Essi sostengono che HV non corrisponde al Magistero ordinario e universale. Nel criticarla, quindi, si pongono come difensori della verità universale e tradizionale della Chiesa (rappresentata dai nove vescovi). Alla fine, però, affermano che se «la Chiesa riconosce le falle nel principio fondante dell’Humanae Vitae, crolla l’intero edificio dell’insegnamento sessuale cattolico ufficiale», e accolgono anche con favore un cambiamento di dottrina rispetto agli atti omosessuali.

Questo è qualcosa su cui possiamo essere d’accordo, che loro intendono demolire l’intero insegnamento tradizionale della Chiesa. La loro strategia si basa sulla critica del principio di inseparabilità dei significati procreativo e unitivo, e la loro migliore argomentazione si basa sulla presunta mancanza di differenza tra pianificazione familiare naturale e contraccezione.

«L’affermazione secondo cui esiste una distinzione morale tra le intenzioni del metodo del ritmo approvato o della pianificazione familiare naturale e la contraccezione artificiale vietata, che mirano entrambe a prevenire la gravidanza, è falsa, controintuitiva e moralmente ingiustificabile» (L&T).

Ancora una volta, colpisce il loro dogmatismo e la loro incapacità di cogliere punti di vista diversi. Per me, ad esempio, è impossibile non vedere la differenza tra voler fare sesso a tutti i costi e decidere di non farlo quando l’ordine della natura potrebbe non corrispondere alla propria pianificazione familiare. È impossibile non vedere la differenza tra essere ossessionati dal sesso e astenersi con calma quando è il momento di fare così. Lawler e Salzman affermano che questa questione «è stata risolta dal giudizio pratico della stragrande maggioranza» dei cattolici, che, oltre ad essere un giudizio apodittico infondato, equivale a dire che il peccato non esiste perché il giusto pecca sette volte al giorno. Confondono la morale con la sociologia.

Per me la questione è semplice. Ci sono due significati che appartengono alla realtà oggettiva della sessualità, ma che non implicano in natura che ad ogni atto sessuale corrisponda una gravidanza. L’agente non deve cercare di alterare il significato oggettivo ma non ha bisogno di mirare alla gravidanza in ogni atto sessuale proprio perché il significato del sesso non è solo procreativo. La verità dell’atto sessuale è che è bello, piacevole, unitivo, procreativo, e che se non si cerca di manipolarne l’obiettività, se ne può godere con serenità, allo stesso modo di come si può mangiare un gelato senza pensare al significato nutrizionale del cibo. Socrate insegna che la moralità sta nell’agire secondo la verità, e alcuni di noi continuano a prenderlo sul serio. Ancora una volta, posso accettare punti di vista diversi e discussioni costruttive, ma non il dogmatismo di chi non è disposto ad ascoltare gli altri.

L’aspetto più sorprendente dell’approccio fazioso di Lawler e Salzman sta nel tentativo di difendere l’onore di nove vescovi sulla presunta ipotesi che rappresentino il Magistero universale ordinario, ma non l’onore dell’insieme di tutti i vescovi statunitensi. Invero, alcuni anni fa la Conferenza dei vescovi cattolici degli Stati Uniti ha condannato il libro di Lawler e Salzman sulla moralità sessuale perché conteneva «conclusioni errate su tutta una serie di questioni, tra cui la moralità del sesso prematrimoniale, la contraccezione e l’inseminazione artificiale» e perché «gli autori insistono sul fatto che la teologia morale della tradizione cattolica che si occupa di questioni sessuali è ormai nel suo insieme obsoleta e inadeguata e che va rifondata su una base diversa».

Questo è qualcosa che il lettore dovrebbe sapere in anticipo. Voglio dire, non tanto il fatto di questa condanna, ma il fatto che Lawler e Salzman sappiano che HV esprime l’insegnamento tradizionale della Chiesa che loro intendono criticare e superare. Questa è la cosa che mi è piaciuta di meno del loro articolo: il fatto che invece di esprimere chiaramente la loro posizione hanno finto di ergersi a difensori del vero insegnamento del Magistero ordinario e universale. Possiamo discutere e criticare qualsiasi cosa (con rispetto e comprensione reciproci), ma sempre in modo veritiero e senza ambiguità.

* La prima versione di questo articolo è uscita in inglese su The Postil, https://www.thepostil.com/author/fulvio-di-blasi/ .

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